mercoledì 1 agosto 2012

Nei tempi: i romani

Per comprendere quale fosse l'importanza del misurare nell'età classica possiamo benissimo prendere come riferimento la civiltà romana. In un epoca in cui non è ancora nata una vera e propria tradizione di arti e mestieri, in cui la progettazione si realizza solo nell'ambito della architettura, il misurare esiste e trova senso solo nell'efficiente amministrazione romana e laddove dettato dall'esigenza pratica quotidiana.

In primo luogo è fondamentale la scansione dei momenti della giornata e le meridiane, basate sullo gnomone, non mancano in nessun centro civico. Diversi trattati, tra cui il De limitibus constituendis di Igino Gromatico o il De Architectura di Vitruvio, illustrano metodi per tracciare gli analemmi (i "quadranti" delle meridiane). Più raramente, nelle città più popolose e dedite al commercio, specie nell'area della Magna Grecia, si trovano esemplari di orologi ad acqua, che Vitruvio racconta nel libro IX del De Architectura essere noti a tutti.

Le alte conoscenze di astronomia, che i romani acquisirono anche nei contatti con l'Oriente greco e asiatico, fecero intendere la necessità di riformare il calendario noto nel calendario giuliano, elaborato dall'astronomo greco Sosigene di Alessandria e promulgato da Giulio Cesare, che correggesse lo scarto tra anno tropico e anno legale introducendo l'anno bisestile ogni quattro anni.

Roma si prodigò di collegare in una fitta rete stradale le città alla capitale per favorire il commercio, gli spostamenti militari, la costruzione di acquedotti, il servizio postale. Le pietre miliari indicavano ai viaggiatori ad intervalli più o meno regolari qual'era la distanza dal cuore pulsante dell'Impero, Roma, o nelle aree più remote, dalla città principale. Ancora oggi sul bordo della carreggiata è indicata la distanza effettiva dall'inizio della strada in cifre arabe per i kilometri e romane per i multipli dei cento metri.

Nell'efficiente burocrazia, nelle nascenti scienze della geografia e dell'agrimensura, nella necessità di censire la popolazione e possedimenti, la catalogazione delle terre diviene di fondamentale importanza. L'unità fondamentale delle lunghezze è il pes (29,7 cm), che ha per sottomultipli binari sono il palmus (1/4) e il digitus (1/16) e per multipli più utilizzati il passus (5) e l'actus (120). Le unità di superficie si basano invece sull'actus quadratus (1265 m²) che è considerata l'estensione arabile da una coppia di buoi in mezza giornata; 4 actis quadrati formano un heredium, l'estensione assegnata ad ogni proprietario dallo stato, e 100 heredia, o 400 actis quadrati, formano la centuria, l'unità fondamentale nella geografia. Con la zelante opera di standardizzazione che i romani applicavano nelle terre conquistate, nonstante l'enorme estensione raggiunta dall'Impero, le unità di misura risultavano dappertutto omogenee. Nella sua opera, Vitruvio descrive la costruzione di un odometro.

Al di là di quanto avviene nell'amministrazione, la progettazione e la misurazione nell'epoca classica sono aestimatio, si basano sulla geometria piuttosto che sull'aritmetica, sono solo previsioni da verificare nella messa a punto dell'opera, e laddove esistono sono arti che trovano poco spazio nella letteratura tecnica, a prendere la forma di una tacit knowledge.
Un raro esempio di spirito ingegneristico moderno è quello di Sesto Giulio Frontino, curatore delle acque attento alla res publica. Nel De aquaeductu urbis Romae (I secolo dC), Frontino documenta l'indeguatezza del sistema idrico della capitale, che risente di troppi sprechi, irregolarità, disomogeneità. Pur conoscio delle difficoltà che la speculazione matematica ha nell'approcciarsi con l'achitettura nella sua epoca, Frontino intraprende personalmente un'opera di normazione dei moduli idrici, misurando e correggendo la portata di ognuno di essi, fino a contenere gli sprechi entro limiti accettabili.

Per approfondire:

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